mercoledì 18 novembre 2015

La devastazione antropologica del capitalismo multinazionale

Guerre civili, operazioni di peacekeeping, campi di rifugiati e migranti: luoghi dove vivono e muoiono milioni di persone. Nella dimensione globale dell’esistenza umana del XXI secolo le persone ‘in esubero’, le vite di scarto, sono possibili esiti di processi sociali, economicamente e politicamente orientati dal capitalismo multinazionale, che producono incertezza e paura, quindi bisogno di sicurezza. Il fanatismo religioso sembra mettere in ombra la realtà materiale dei profughi modificando il paesaggio antropologico in un inferno che tutto divora, devasta, inaridisce. Le stragi quotidiane – a Parigi come in Siria ed altrove – diventano, nel racconto mediatico eterodiretto, icona e metafora di un’umanità che ha smarrito se stessa, dispersa nel deserto della violenza e delle relazioni spezzate, in fuga dalle città inclusive, un tempo, ora violate; diventano icona e metafora di luoghi di incontri e socialità non più espressi, icona e metafora di biografie possibili sospinte negli angusti carceri della “spietatezza”.
Ci vuole resilienza, reazione razionale e determinata per una ripresa del viaggio, rintracciando ‘tracce di cammino interetnico’, segni inequivocabili che indicano sentieri per un’etica e una prassi dell’incontro e della relazione d’aiuto nella reciprocità generatrice di polifonia culturale che "scuona" come urgente fuoriuscita dal capitalismo. Io guardo l’altro che mi guarda attraversando frontiere e fili spinati, scalando muri di recinzione, attraversando la terra di mezzo, spazio delle possibilità, opzioni di vite mai più rassegnate ad insipidi copioni da recitare. Apriamo nuovi spazi umanitari. Hic et nunc ! Costituzione della Repubblica italiana – Articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. “Chi sente soltanto il profumo di un fiore, non lo conosce, e nemmeno lo conosce chi lo coglie solo per farne materia di studio” Johann Christian Friedrich Hölderlin Oggi, portare la guerra nelle metropoli è come mettere una bomba alla stazione di Bologna. È un atto di terrore per disorientare. Su quest’atto, complottismo e islamofobia prospereranno. L’attacco contro Parigi permette di prendere in ostaggio milioni di persone di confessione musulmana in Francia e in Europa, come se fossero tutti loro e solo loro corresponsabili. Le immagini che arrivano in diretta da Parigi sono inquietanti. Non solo per la crudeltà riversata nei locali, nelle strade, nei non-luoghi di aggregazione di massa come lo stadio di una normale capitale europea, ma anche per l’obiettivo scelto – la popolazione non in armi -, le presunte motivazioni, la canea che si è scatenata immediatamente dopo. Tutto accade senza mettere, in realtà, pragmaticamente, in discussione l’antefatto tecnico, piuttosto che politico-culturale, della tragedia umana in corso: la produzione e la vendita di armi, fenomeno economico anch’esso spiegabile, del resto, in chiave storico-economico-politica, poiché rinvia al modello di società terribile nella quale viviamo ed alle forme egemoni di coatta relazione tra esseri umani che tale modello genera. Detto questo, non possiamo esimerci dal dire che l’attacco assassino è assolutamente funzionale ad una idea di destabilizzazione che ricorda la strategia della tensione. L’ISIS lo abbiamo potuto conoscere dopo l’avanzata in IRAQ e in KURDISTAN. Soprattutto abbiamo imparato a conoscerlo attraverso la resistenza kurda che lo combatte da anni e che nella città di Kobane lo respinge indietro, con il timido aiuto delle potenze occidentali. L’ISIS gode del supporto (più o meno velato) del Governo turco. Il suo uso in funzione anti-ASSAD è pressoché dimostrato. Ma l'evidenza più sconcertante è l’afflato politico con il quale i rappresentanti eletti nei Parlamenti italiano ed europeo si scagliano contro l’ISLAM inteso sempre come il diverso da combattere, auspicando misure sempre più restrittive e fasciste. Non è affatto vero che “politiche fasciste” possano aver la meglio sui neofascismi che si camuffano per culture religiose. C’è una perversa analogia strutturale tra autoritarismi europei, americani e russi – fatti anche di misure economiche liberiste – e quelli feudali ed intagralisti espressi, negli ultimi anni, dal Califfato. La lotta dei Kurdi in SIRIA, in IRAN, in TURCHIA, la resistenza a Kobane, il processo politico libertario e egalitario in Rojava, ci forniscono sicuramente una chiave di lettura utile che supera l’emergenza e lo sconcerto legato ad una “normale” serata europea inondata dal sangue.

venerdì 20 marzo 2015

Lettera alle lavoratrici e lavoratori

Care lavoratrici e cari lavoratori metalmeccanici, sabato 28 marzo ci ritroveremo a Roma per la dignità e la libertà del lavoro. Nei mesi scorsi, insieme, ci siamo battuti contro il Jobs Act del governo che non crea nuovo lavoro né affronta il dramma della precarietà e della disoccupazione giovanile. Insieme abbiamo proposto delle alternative e presentato le nostre idee frutto di tante assemblee e discussioni con voi. Ma il governo non ha voluto ascoltarci, ha messo in pratica le indicazioni di Confindustria, imboccato la strada della riduzione dei diritti, sposato le ricette di chi pensa che licenziando si crei nuova occupazione. Abusando della democrazia, il governo, a colpi di fiducia, ha ridotto il Parlamento a mero esecutore della sua volontà. La nostra lotta però non è finita con il varo del Jobs Act. Come promesso durante lo sciopero generale del 12 dicembre di Cgil e Uil, continueremo a spendere le nostre idee e le nostre energie per difendere il lavoro e i suoi diritti, cambiare il paese e renderlo più giusto.
Questo è un momento importante per il futuro di tutti noi, delle lavoratrici e dei lavoratori, del nostro sindacato che esiste e ha un senso solo se riesce a rappresentare democraticamente i vostri interessi e da voi riceve il sostegno, le idee e le energie necessarie. Per migliorare le condizioni del lavoro dipendente. Per rivendicare un sistema pensionistico più giusto con la riduzione dell’età pensionabile. Per dare un’occupazione a chi non ce l’ha con nuovi investimenti e con la riduzione dell'orario di lavoro. Per cancellare il precariato. Per combattere l'evasione fiscale e la corruzione. Per garantire il diritto alla salute e allo studio. Per istituire forme di reddito minimo. Per riconquistare veri contratti nazionali che tutelino il salario e diano uguali diritti a tutte le forme di lavoro. Per questo, nel ringraziarvi per quanto abbiamo fatto finora, vi invito a partecipare in massa alla manifestazione del 28 marzo. L'abbiamo chiamata “Unions!”, usando una lingua che non è la nostra ma utilizzando una parola che richiama le origini del movimento operaio e sindacale. Quando, tanti anni fa, lavoratrici e lavoratori senza diritti scoprirono insieme che per migliorare la propria condizione era necessario coalizzarsi e battersi per conquistare libertà e diritti comuni. Oggi milioni di lavoratrici e lavoratori hanno visto cancellati i diritti frutto di lunghe battaglie; altri milioni di lavoratrici e lavoratori quei diritti non li hanno neppure mai avuti, dispersi nelle tante forme di lavoro saltuario e sottopagato. Per tutte e tutti il lavoro sta diventando più povero e precario. Oggi abbiamo bisogno di riprendere il filo dell'impegno comune, delle lotte contro le politiche dei governi che in Italia e in Europa hanno voluto far pagare al lavoro il costo di una crisi prodotta dalla finanza e dalle speculazioni. Per dare rappresentanza al lavoro. Per confrontarci con tutte quelle realtà, associazioni, gruppi e movimenti che nella società affrontano e contrastano il degrado civile prodotto dalla crisi economica e dalla sua gestione politica. Per affermare i principi della nostra Costituzione.
Oggi abbiamo bisogno di un'alleanza, di costruire una coalizione sociale che unisca ciò che il governo e Confindustria vogliono separare, aggregando tutte le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare con le metalmeccaniche e i metalmeccanici, con le delegate e i delegati, con le iscritte e gli iscritti alla Fiom. Per crescere e cambiare abbiamo bisogno di voi, perché la vostra partecipazione e la vostra intelligenza saranno la nostra comune forza. Vi aspettiamo a Roma il 28 marzo. E da lì continueremo insieme. Maurizio Landini

mercoledì 25 febbraio 2015

"Ho fatto esperienza dell'estraneità"

By Giovanni Dursi "Ho fatto esperienza dell'estraneità. L'anima ha le sue forme. Spiritualità è la mia fame, la mia stanchezza, il mio sudore. Ruggito della vita, pochi secondi, suadente tempesta, ogni volta tutto è sconvolto. Perdo i compagni, uno ad uno, per strada, ridanciani. Ispirati, girano a destra e a manca, ansimanti come ronzini sfiancati, godono del disfacimento, neanche se ne avvedono. La loro anima, leccornia nel trogolo di avidi maiali. Pregano, tremebondi, credono, dopo tanti affanni, s'arrendono. Narciso padre li accoglie in grembo. Si specchiano e si donano. In certi periodi, in una vita, tutte le tensioni latenti sembrano addensarsi. Si prefigurano già quelle che segneranno il tempo a venire. Il libro più felice è quello da scrivere, zampilla come sangue dal polso lacerato, per non morire.
L'anima ha le sue forme. Il racconto in cifra della storia sottile e tormentosa mi scuote, mi riguarda. Il tempo delle preghiere, della speranza, dell'amore mi è estraneo. L'eco di frammenti dei lunghi dialoghi con con gli amici, sempre più debole. Mesi esacerbati, mi uccido, come tubercolosi la borghesia in me, cessa l'insano respiro. Partorisco nelle meravigliose domande, nelle succose intentate attività. Poco tempo prima di questi fatti, annoto nel mio diario: «Se guardo al futuro, ai cinquant’anni che seguiranno, vedo davanti a me un grande deserto grigio». La «metafisica della gioventù» non tonifica né nutre d'intensità. S'avvicina, per la sua dolente impudica realtà, al clima dell'hotel Auschwitz-Birkenau. . . .
", Ottobre 2013