venerdì 1 aprile 2011

Roma, il 2 e 3 aprile 2011 - Terza Assemblea nazionale della Rete dei Comunisti - Centro congressi Cavour - Via Cavour, 50/A


Ben scavato vecchia talpa! Dalla crisi di civiltà del capitalismo una nuova opportunità per i comunisti - 3° Assemblea nazionale della Rete dei Comunisti
ROMA 2-3 Aprile 2011

http://www.contropiano.org/it/archivio-news/editoriale/item/500-la-3°-assemblea-nazionale-della-rete-dei-comunisti
http://www.contropiano.org/Documenti/2011/Aprile11/ManifestoPolitico3AssRete.pdf
http://www.contropiano.org/Documenti/2011/Aprile11/3AssembleaNazReteComunisti.pdf

Corpi

Dai fatti drammatici di Tunisia (dal decesso, per le gravissime ustioni riportate, di Mohamed Bouazizi, giovane disoccupato tunisino che per protesta si è dato fuoco, incendiando la rivolta che dalla città di Sidi Bouzib ha contaminato altri Paesi arabi) alle mattanze di Libia e Siria (tributo ad un cambiamento inarrestabile e di lungo periodo perché si appoggia su una maggioranza di giovani che uniscono nella lotta l’esigenza di migliori condizioni materiali di vita con la voglia di libertà e di una nuova identità anche diversa da quella culturale e religiosa), la genericità ed evanescenza di ogni discussione geopoltica e di natura scientifico-sociale si mostrano in tutta evidenza.

Il dato primordiale – al quale necessariamente risalire e sul quale doverosamente riflettere – è il corpo messo a repentaglio, non certo un'ambivalente “rivolta precaria cognitiva” che unificherebbe, con la presunta consapevolezza d'una forte “rappresentazione teorica”, gli ambiti sociali e, di risulta, politici euromediterranei. Come sostenuto da alcuni filosofi (R. Bodei) “... Il corpo è ciò che pone l’uomo in contatto con il mondo … l’uomo non ha un corpo, ma è un corpo. Seguendo questa concezione, corpo ed anima non sono separati. Pure ammettendo che tale separazione ci sia, il corpo può fungere da veicolo per la crescita e per la grandezza dell’anima ...”. Già F. Nietzsche in ”Ecce homo” affermava “Che si sia imparato a disprezzare gli istinti primari della vita; che si sia finta l'esistenza di un'anima, di uno spirito, per fare andare in rovina il corpo; che si sia imparato a considerare come qualcosa di impuro ciò che è il presupposto della vita, la sessualità”.


Certo è significativo che i sommovimenti gravidi di cambiamenti “reali” accadano dopo l'appropriazione di tecniche e forme universali nella comunicazione sociale in grado di mobilitare le coscienze da parte di popoli oppressi. Ciò che contraddistingue la fenomenologia delle rivolte arabe e ne configura andamenti ed esiti prossimi, non è però la “modalità” aggregativa e potenzialmente rivoluzionaria del presunto valore aggiunto della “conoscenza” incorporato nell'uso proprio – critico, sociale, mobilitativo – delle risorse della “rete”. Viceversa, è la “datità” del corpo messo a repentaglio, è l'esistenza in vita messa in gioco a dare prospettiva, significato, drammatica autenticità ai comportamenti adottati. Forme di lotta radicali, tanto irriducibili ad ogni ipotetico disegno teorico-politico quanto necessarie, per andare oltre gli angusti liberticidi limiti di civiltà: la morte fisica, unica seria posta in gioco. Il presente impone di dotarsi di adeguati strumenti concettuali per affrontare i nuovi ambiti di ristrutturazione sociale che caratterizzano i conflitti emergenti, la storia di chi esce rabbioso da putride stive, i “vissuti” individuali e collettivi dentro la crisi organizzativa del capitale globale. È il sentire corporeo l'elemento comune alla molteplicità dei fenomeni relazionali ed affettivi (passioni, sentimenti, emozioni, stati d’animo) della travagliata contemporaneità. Il corpo è l'elemento mutogeno, ma comune, imprescindibile che non deve “lasciar valere alcuna datità” ulteriore che non permetta di conoscere in modo rigoroso l’esperienza umana, le pratiche agite, i significati attribuiti all’esperienza, le teorie costruite sui vissuti. Significa prestare attenzione ad ogni oggetto non nelle sue qualità ideali, ma nei suoi tratti individuali specifici e questi oggetti non sono altro che i corpi.


Negli ultimi anni l'ICT ha artificializzato non poco le relazioni sociali, se non per tutti, almeno per tanti; aver dato uno sguardo al mondo attraverso la “rete” ed essere usciti da un’ottica ristretta tribale o di comunità locale non corrisponde obbligatoriamente ad una liberazione a portata di mano o ad una auspicata, quanto inconsistente, democratizzazione dei rapporti sociali. Non a caso i “nativi digitali” ed i competenti teorici della cognizione reticolare sembrano trascurare la persistenza dell'esclusione dal “mondo di InterNet” di miliardi di persone dalla fruizione libera e consapevole di informazioni. Il movimento anti digital divide deve essere ancora inventato, non è una priorità da parte di chi cerca intelligentemente di contrastare la dittatura politico-cognitiva dei regimi oligarchici (in occidente quanto altrove insediati) che si traduce, sul versante storico, in brutali repressioni attuate dall’esercito, dall’aviazione e, se del caso, dai mercenari, che hanno già causato migliaia di morti, mutilati, feriti nelle piazze e nelle strade, da decenni, non solo di Bengasi e di Tripoli. Per questi motivi, non si tratta solo di condannare il massacro in corso, assumendo urgentemente tutte le iniziative necessarie a salvaguardare la vita e la sicurezza della popolazione in rivolta e in fuga dai massacri; la pace e la stabilità in tutto il Mediterraneo, si potranno raggiungere solo con l’instaurazione delle democrazia popolari, con il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali che sono alla base di ogni sviluppo sociale e condizione per risolvere anche il problema delle migrazioni senza accoglienza. Essere oggi a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici, degli studenti e dei disoccupati che in questi giorni stanno riempiendo le piazze per chiedere democrazia, libertà, dignità e lavoro ovunque nel mondo martoriato dal capitalismo globale che mercifica l'esistenza alla stessa stregua del petrolio, vuol dire assumere la visione integrale del corpo quale unico, ultimo strumento di liberazione effettiva. Corpi nudi, dunque, poiché insofferenti ormai alla morte civile, mentre rischiano la mera persistenza biologica. Gli insorti di Bengasi qualcuno pensa siano strumentalizzati e certamente i servizi segreti occidentali sono nel teatro di guerra; troppe armi per una rivolta la cui forza autentica è nella generalizzazione dell'intifāda come estremo, irrimediabile sacrificio umano per le comunità a venire. Fermare i carri armati, qui vuol dire esserne calpestati. L'estraneità timorosa che provano gli osservatori europei nell'assistere a questi eventi, la loro lontananza determinata dalla non comprensione delle dinamiche interne ai paesi arabi islamici chiusi per le masse ad ogni possibile contatto con altre culture foriere di forme avanzate di partecipazione, sono le spie rivelatrici di uno status che deriva dall'appartenere al cosiddetto mondo “opulento” e “liquido”; questo status non permette più di superare l'omologato istinto di conservazione individuale e collettiva in modo tale da compromettere il senso proprio dell'esistere quali soggetti subalterni. Le rivolte dei corpi morituri per rigenerare “vita” nella metropoli capitalistiche del terzo millennio non si verificano e per quanto pronti le nuove generazioni al gioco della testimonianza critica, della protesta, delle prassi di lotta rivendicativa, della contrarietà alle politiche governative, per quanto alfieri d'una inedita partecipazione da protagonisti ai circuiti globali dell'informazione, non insorgono mostrando impulsi etici, pre-politici assimilabili ai partigiani della metà degli anni '40 del Novecento che guerreggiarono contro il nazi-fascismo. I partigiani hanno avuto lo stesso scatto interiore, la stessa saldezza, la stessa triste gioia di vivere rischiando la morte degli odierni impavidi rivoltosi arabi. Ai morti di allora e di oggi che si deve il ritorno nella storia della speranza. Il debito contratto con quei corpi sepolti è inestimabile. C'è qualcosa che accomuna la Resistenza armata europea scaturita dal secondo conflitto mondiale alla rivolta dei popoli arabi, al di là di ovvie diversità di contesto e di epoca, e non è un'analoga composizione sociale ancora da decodificare né, tantomeno, una comoda immaginazione sociale (produttiva di convegni, conferenze, rassegne telematiche, gruppi di discussione su InterNet, articoli, flash mob) contro la sofferenza che di per sé possono rappresentare la via di uscita dalle plurime forme del dominio capitalista sulla vita di miliardi di uomini. La prossimità sociale delle due coste del mar Mediterraneo non serve più di tanto a far circuitare la ribellione e la rivolta; servono corpi che si scagliano contro, serve immolarsi. Questa realtà atroce e ultima, pur avendo diverse originarie antropologie e datazioni, è sostanzialmente ancora tutta attuale per il tipo di problematica affrontata: quella della liberazione umana. Saper rinunciare alla vita non è la stessa cosa della semplice denuncia dei tentativi di un suo smantellamento economico-sociale, svuotamento spirituale o alienazione perenne. È il vero “processo di costituzione” della socialità. Per chi sopravvive. Grazie a chi non c'è più, a corpi ormai immoti, sublimi e coraggiosi.